Inizio a scrivere per questa rubrica allo sbocciare della mia stagione preferita. Nuovi germogli, aria di rinnovamento. La musica italiana mostra segni di vita, dalle radici come è corretto che sia. Sento nuove band e nuovi cantautori, sono tanti. Li vedo comparire sempre di più tra i video consigliati su YouTube o nelle riviste di musica specializzata. Li sento passare per radio, su quelle stesse frequenze che fino a davvero pochi mesi fa passavano solo tracce “mainstream”, di quel pop standard e un po’ confezionato che inevitabilmente deve vestirsi alla moda per riuscire a superare la barriera dei buttafuori.
La nostra storia musicale moderna è fatta di canzoni famose in tutto il mondo, di cantautori ispirati. Rivoluzioni di parole sulla società ma anche sulla visione ampia dell’amore. Artisti che sono nati da loro stessi e dalle loro esperienze e che hanno voluto a tutti costi raccontarle attraverso la musica con una incontenibile necessità di esprimersi.
E questa primavera mi riporta lì, a quando Luigi Tenco e Fabrizio de André giravano e si scontravano tra le strette vie genovesi e condividevano lo stesso mare di Gino Paoli e del mai abbastanza considerato Bruno Lauzi. A quando le etichette discografiche facevano la vera ricerca di talenti e le loro stanze erano piene di pianoforti con cui fare la musica. A quando gli artisti venivano aiutati a crescere nel lungo periodo, sapendo che i primi album avrebbero fatto fatica a vendere ma che le buone cose nel tempo lasciano sempre frutti da cogliere. E quindi si andava avanti costruendo insieme.
Storie da raccontare, voglia di reagire. La situazione sociale è diversa, senz’altro. Sicuramente abbiamo tanto di più. Ma alle nuove generazioni viene dato anche tanto di meno. Meno prospettive, meno sicurezze, meno solidità emotiva. E da qui riparte tutto. Il disagio si canta in modo inaspettato, a volte cinico come nel caso de Lo Stato Sociale altre volte con la crudità e la schiettezza di Mannarino. Tutti artisti che arrivano da un lavoro indipendente, da quella che comunemente chiamiamo “gavetta” e che si ritrovano oggi a fare i conti con platee decisamente numerose e spesso pari a quelle di artisti in scena da tanto tempo. Nuovi concetti, nuovi contenuti, conditi anche da nuove sonorità. Ci si incontra e ci si confronta per creare, non necessariamente per esserci. Si sperimenta fondendo l’elettronica con la strumentazione acustica, si cancellano i confini per crearne di nuovi. E a volte ci si rende conto che andare avanti può voler dire ritornare al passato. Non credo si tratti di mode, alla fine una pasta cacio e pepe si prepara così dalla notte dei tempi e sempre così rimarrà. Non per questo meno buona, non per questo meno interessante.
È una ripartenza in cui credo e che mi fa sentire bene.
È una nuova primavera, una boccata di aria fresca che mi ossigena e stimola una grande voglia di fare, ricercare, ascoltare e perché no… scrivere!
Apparso su “La Voce di Reggio Emilia” – Emiliano Fantuzzi ©
E che sia una primavera ricca di novità!
E noi non vediamo l’ora di cogliere i frutti di questa tua nuova primavera…
L’entusiasmo che hai e trasmetti è un regalo immenso, non perderlo mai!