Ci sono luoghi che sono belli senza esserlo. Sono luoghi in cui la bellezza passa attraverso la capacità di vederla oltre all’ovvio, come una presenza fatta di possibilità e non di realtà delle cose. Un’idea, l’illusione forse, di poter migliorare il migliorabile. Scegliere e non essere scelti, è una differenza sostanziale e sostanziosa. Ci sono luoghi dove l’unica imposizione è quella di non avere imposizioni. Scoprire se stessi attraverso le cose, le esperienze e l’arte per dare respiro a tutte quelle sfumature che rendono unico ognuno di noi. Nella sua persona e in quello che fa. E quando incontri questi luoghi bastano pochi minuti, il tempo di un caffè doppio e un croissant alla mandorla, per iniziare a vedere le cose da un’altra prospettiva: la tua. È una sensazione strana, può creare disorientamento. E come potrebbe non farlo? Consideriamo quello a cui veniamo spinti tutti i giorni, dagli acquisti al supermercato alla musica che ascoltiamo. Siamo liberi di scegliere? Potenzialmente si, praticamente è invece un’impresa piuttosto faticosa. Raccontiamo noi stessi in un realismo letterario in cui siamo diventati contemporaneamente protagonisti e pubblico. Una sorta di pošlost, la desolante mediocrità su cui Nikolaj Gogol ha basato il suo metodo narrativo. E questa mediocrità, a tratti desolante, la troviamo nella proposta sempre più omologata che molte radio italiane (non tutte per fortuna) rilasciano nell’etere ogni giorno e con cui invadono quel bel momento magico di silenzio in cui a qualcuno poteva anche venire in mente un’idea brillante. Non si sa mai, meglio riempire. Come un bambino che finisce il pennarello per colorare un’intero foglio bianco e farlo completamente nero. Nessuno spazio di aria, nessuna possibilità di scelta. Musica imposta e scelta con dinamiche non sempre artistiche, spesso fatte di regole del business che è senz’altro corretto esistano ma non certo che prevalgano. Abbiamo bisogno di essere educati all’ascolto se vogliamo che la nostra cultura possa crescere libera, e con lei la varietà e la profondità delle nostre emozioni. Non possiamo ascoltare solo canzoni fatte con lo stampino. E soprattutto dobbiamo pretendere che le radio nate con la volontà e la presunzione di essere “libere” lo siano veramente, soprattuto nella scelta artistica dei loro palinsesti. Se ci allontaniamo da queste possibilità o se non diamo loro credito ci spingeremo sempre di più nel tutto che non vale niente. Sempre più disposti ad essere farciti come bomboloni con una crema ormai rancida. Ci sono luoghi che sono belli senza esserlo ma ci sono anche luoghi brutti. Io cerco di evitarli.
Ascolto consigliato: Queen – The Works (1984)
Apparso su “La Voce di Reggio Emilia” – Emiliano Fantuzzi ©